Frontiere che uccidono. Respingimenti illegali nei porti

Due giovani sono morti lo scorso 30 ottobre nelle acque del porto di Livorno intorno alle 13:30 risucchiati dalle eliche delle navi in manovra. Trovati dalla Polizia Marittima nascosti all’interno di un container scaricato dalla nave ro-ro Stena Shipper, battente bandiera danese, della compagnia svedese Stena Line – ma in affitto alla compagnia statale tunisina CoTuNav – proveniente da Radès, Tunisia, i due sarebbero stati reimbarcati sulla stessa nave, affidati alla custodia del comandante, per essere rimpatriati. Chiusi in una cabina a bordo, sarebbero riusciti a liberarsi e si sarebbero gettati in mare per evitare il rimpatrio. Questa la versione ufficiale dei fatti riportata dalla stampa. Una ricostruzione del tutto opaca, che non chiarisce cosa sia successo in due passaggi chiave. Innanzitutto cosa sia accaduto quando i due giovani si trovavano già a terra, in porto, una volta individuati dalle autorità. In secondo luogo con quali modalità sia avvenuta la consegna di queste due persone al comandante della Stena Shipper, e cosa sia effettivamente successo a bordo della nave.

Se anche prendessimo per buona questa versione, rimarrebbero ancora molte domande senza risposta. È stato garantito l’accesso alla richiesta d’asilo? Le due persone sono state visitate da un medico o è stato verificato il loro stato di salute? Sono state identificate dalle autorità? Sono state informate dei propri diritti in una lingua per loro comprensibile? Con quale procedura e con quali metodi sono state affidate alla custodia del comandante della nave? A bordo della nave, battente bandiera di un paese UE, le persone sono state informate dei propri diritti, compreso l’accesso all’asilo? In che modo a bordo è stata disposta la custodia dei due giovani e con quali precauzioni? Questi interrogativi sulle precise responsabilità delle autorità coinvolte nella vicenda devono avere una risposta.

Tale opacità lascia pensare che il respingimento avvenuto nel porto di Livorno sia avvenuto in modo illegale, anche sulla base delle stesse leggi dell’UE. Va considerato che per casi simili di respingimento immediato nei porti, l’Italia è stata già condannata per non aver garantito l’accesso al diritto all’asilo. Fra i casi più emblematici quello dei respingimenti immediati attuati tra gennaio 2008 e febbraio 2009 nei porti di Ancona e Venezia nei confronti di cittadini afghani, sudanesi ed eritrei che si erano imbarcati clandestinamente nel porto di Patrasso, in Grecia. Riguardo a questi casi, con la sentenza “Sharifi e altri contro Italia e Grecia” del 21 ottobre 2014, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riconosceva che l’Italia aveva eseguito espulsioni senza effettuare la valutazione individuale e senza aver garantito l’accesso alla procedura di asilo.

Con un presidio e una conferenza stampa di fronte al Varco Zara, venerdì 7 novembre diverse realtà sindacali, politiche e sociali hanno denunciato la situazione chiedendo verità e giustizia per i due giovani. Un impegno che deve continuare per porre le autorità di fronte alle proprie responsabilità.

Altri articoli apparsi sulla stampa locale fanno capire come il fatto non possa essere considerato una fatalità, o il risultato di dinamiche imprevedibili sorte in un episodio eccezionale. Stando ai dati pubblicati dal Tirreno, nel porto di Livorno vi sono in media 20 respingimenti l’anno. Certo, sono pochi, ma abbastanza da costituire la media locale di un fenomeno complessivo. Tanto che, sempre secondo il quotidiano locale, sarebbero stati presi nel tempo precisi provvedimenti. Da due anni infatti sarebbero state rinforzate le barriere fisiche, con lo scopo di renderle più difficili da oltrepassare, poste a chiusura della banchina presso la quale negli ultimi anni sono state destinate le navi provenienti dal Nordafrica. Alcune di queste navi, 60 da inizio anno, arrivano dalla Tunisia, in particolare da Tunisi e Radès, tra queste diversi trasporti della compagnia CoTuNav. Il Tirreno arriva addirittura a parlare di tratta, pur senza davvero chiarire con quale significato sia impiegato questo termine. Qualunque valutazione si voglia trarre da queste notizie, è chiaro che non possono essere considerati fatti imprevedibili, dal momento che ci sono già stati provvedimenti che hanno investito anche le attività portuali. È da evidenziare anzi, che a fronte di tale situazione pubblicamente riconosciuta, manca del tutto al porto di Livorno un presidio di accoglienza fatto da mediatori e interpreti, come invece avviene in altri porti.

Altre questioni sono state sollevate dal sindacato Usb, che ha denunciato come il transito delle navi all’interno del porto non sia stato interrotto durante le operazioni di ricerca dei due giovani. Inizialmente infatti almeno uno era dato per disperso, dal momento che, secondo alcune testimonianze, mentre uno dei giovani era stato visto sparire tra i gorghi prodotti dalle eliche della nave ECO Napoli della compagnia Grimaldi, l’altro sarebbe stato visto allontanarsi a nuoto. I corpi sono stati trovati solo nei giorni successivi. Al contempo i legali di Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) che stanno seguendo il caso, sono impegnati anche nel garantire i diritti dei due giovani dopo la morte, innanzitutto perché possano avere un nome e perché possano essere informati eventuali familiari. Ciò risulta particolarmente difficile in questo caso, perché qualsiasi riconoscimento può purtroppo essere svolto solo attraverso l’esame del DNA. Per questo un cittadino tunisino, che potrebbe essere lo zio di uno dei due giovani è arrivato in città per gli esami di riconoscimento.

La morte terribile di due giovani ci piomba nella realtà del porto di Livorno. Dietro al mito delle leggi livornine e dietro la retorica istituzionale sull’accoglienza, anche qui si muore cercando di entrare in Europa. Anche qui ci sono i pushback – anche se li chiamiamo respingimenti – anche qui si impone con violenza la politica di frontiera italiana ed europea. Anche qui ci sono gli agenti di Frontex, arrivati in conseguenza della persecutoria politica dei porti lontani con cui il governo ha imposto alle navi di ricerca e soccorso delle Ong di affrontare ulteriori giorni di viaggio, giorni in più di tribolazione per naufraghi stremati, per raggiungere porti di sbarco migliaia di chilometri a nord dai luoghi di salvataggio, spedendole addirittura fin qua. Anche Livorno è una frontiera della Fortezza Europa, e di fronte alla negazione delle libertà e dei diritti, di fronte alla strage che continua, bisogna scegliere da che parte stare.

Dario Antonelli

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